Ora per i Miami Heat si tratta veramente di scalare l’Everest o, visto che sempre di altitudine si parla, la Ball Arena, per due volte, ripassando da casa. Che rimontare da 1-3 sia un’impresa, infatti, lo dice sia la storia delle Finals (una squadra su trentasei ce l’ha fatta e aveva LeBron James, i Cavaliers nel 2016) e lo dice l’attuale Denver che sta sciorinando tutto il suo arsenale, tutti i suoi uomini, non solo quelli di punta ma anche, gli altri, rendendosi dunque un rebus difficilmente risolvibile, a ora, per gli Heat. Gara 4 ha avuto, infatti, i protagonisti primari nelle star secondarie ovvero non in Jokic e Murray, devastanti in Gara 3 ma piuttosto in Aaron Gordon e in Bruce Brown (48 punti in due). Abbastanza elementare dunque presupporre che, con questo dato, è bastata una dose “normale” di Jokic e Murray agli Heat per andare al tappeto.
Miami questa volta ha “vinto” il duello sui rimbalzi (autentico dramma in gara 3) ha tirato meglio da due, e ha tirato meglio i tiri liberi ma non è bastato, anzi. In realtà, con sprazzi molto simili a quelli visti nel match precedente, dal secondo quarto in poi, i Nuggets hanno messo la testa avanti e non si sono più voltati anche se poi, nel lungo e ininterrotto allungo, Miami a volte è tornata vicino (-6 per esempio durante l’ultimo quarto). Avere avuto ancora due prove complessivamente buone di Butler e Adebayo per gli Heat a questo punto può essere più letta come una sentenza negativa che un segnale positivo ovvero che, anche con i due migliori giocatori in buona forma, questi Denver Nuggets non si battono e ora, in Colorado, Jokic e compagni hanno tutte le condizioni e anche di più per provare a chiudere già la serie.
I mattatori infiniti di Denver e le certezze di Miami ci portano a pensare a punti su punti in una gara 5 che va presa “con le molle” dopo aver visto gara 2 ma che, per quanto riguarda il numero di canestri totali, fa pensare a un bottino complessivo ricco (maggiore di 208 punti).
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